IL BLOG DI SMU
Dal cuore di Lahore alla Karakoram Highway fino alla Cina, attraversando l'Himalaya in moto
In moto da Lahore fino al nord del Pakistan, lungo la celebre Karakoram Highway. Tra paesaggi spettacolari, cerimonie al confine e incontri con altri viaggiatori, scopro un paese ricco di contrasti e bellezze autentiche.


STEFANO
Data
Settembre 2024
Lettura
6 min
È mattina qui a Lahore, questa è la prima città del Pakistan che visiterò, anche se sono nel paese già da due settimane. Non ho visitato Lahore da solo, però: con me ci sono Michele e Mirta, e anche Jörg e Birgit. Insieme visitiamo la moschea imperiale, la seconda moschea più grande del Pakistan, un vero capolavoro costruito in marmo rosso. Da Lahore mi separano solo 24 km dall’India, ma non avendo ancora visto nulla del Pakistan, su consiglio di Michele e Mirta ho deciso che dopo Lahore salirò fino a Islamabad, per poi continuare verso nord e visitare il Kashmir pakistano. Prima però, insieme agli altri, andiamo ad assistere alla famosissima cerimonia al confine di Wagah, un evento militare quotidiano che si tiene ogni sera al tramonto. I soldati di entrambi i paesi eseguono una parata con movimenti marziali esagerati, sventolando le rispettive bandiere. Pensate che per ammirare questo spettacolo, ogni paese ha costruito uno stadio sul proprio lato del confine. Per questa volta, mi trovo dalla parte pakistana. Lo stadio del Pakistan, rispetto a quello indiano, è molto più piccolo, ma durante la parata sembrava di essere in uno stadio di calcio durante una finale importantissima, con tutti a tifare per il proprio paese. Durante la parata non ho potuto fare a meno di immaginare il giorno in cui attraverserò quel confine: l’India era ormai a due passi. Finita la cerimonia, saluto calorosamente Jörg e Birgit. Mi hanno aiutato tantissimo; senza di loro, l’esperienza con la scorta sarebbe stata ancora più difficile e probabilmente sarei morto disidratato, ahah. La mattina seguente carico tutto sulla moto, saluto Michele e Mirta con la promessa di rivederci a Kathmandu, tappa finale per entrambi, e riparto in solitaria verso Islamabad. Alloggio due notti al Coyote Den, dove incontro due motociclisti: un neozelandese di nome Ryan e un americano di nome Sean. Entrambi viaggiano in solitaria con la loro Suzuki DR650. L’americano è al suo secondo giro del mondo e lo sta facendo con la stessa moto. Me l’hanno fatta provare e me ne sono subito innamorato: probabilmente la mia Transalp non ne sarà felice. Mentre faccio colazione con Ryan e Sean, una coppia di backpacker olandesi, Ava e Margot, sentendo il mio forte accento italiano, mi fermano. Parliamo un po’, racconto del mio viaggio e scopro che anche loro stanno andando verso nord, così ci organizziamo per rivederci più avanti. Finita la colazione parto con l’obiettivo di raggiungere Naran, ma appena uscito da Islamabad un convoglio militare mi blocca: senza il NOC non si può proseguire. Mostro quello ottenuto a Quetta, ma mi dicono che non è valido per questa regione. Devo andare all’ambasciata italiana di Islamabad e farmene fare un altro, dopodiché mi avrebbero assegnato una nuova scorta. Mi sembrava un incubo. Credevo di essermene finalmente liberato, e invece eccomi di nuovo lì. Capisco che è per la mia sicurezza, ma credo di potermela cavare da solo. Ringrazio, torno indietro di qualche chilometro e trovo una stradina secondaria che aggira il convoglio. Provo a percorrerla e lo supero, LOL. Più avanti però incontro un altro convoglio.
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Everiting Inshallah: il motto perfetto per chi viaggia piano, ma va lontano
”
Questa volta non mi chiedono il NOC, ma semplicemente mi assegnano una scorta. E rieccoci: mille controlli al passaporto e continue soste per il cambio della scorta. A un certo punto non ne posso più, così sfrutto tutti i 50 cavalli della Transalp e scappo. Un’impresa piuttosto facile, visto che loro sono in due su una piccola Honda 125cc. Seminata la scorta, non vengo più fermato. Raggiungo Naran, poi attraverso il passo Babusar a 4.000 metri di altitudine e arrivo a Gilgit, dove mi collego alla famosissima Karakoram Highway, la strada che unisce il Pakistan alla Cina attraverso la catena dell’Himalaya. Che dire: posti da lasciare senza fiato. Ora sì che il Pakistan inizia davvero a piacermi. Dopo Gilgit arrivo al Nomad Hostel, dove ritrovo Ava e Margot. Passiamo insieme cinque giorni, percorrendo tutta la Karakoram Highway fino al confine con la Cina, a 4.700 metri di altitudine. La Transalp, essendo a carburatori, ha fatto molta fatica, ma non molla mai e non ti lascia a piedi. Insieme facciamo anche una camminata di due giorni fino al campo base del Rakaposhi, dove passo la mia prima notte in tenda in Pakistan, sotto un cielo pieno di stelle. Tornati al Nomad Hostel, saluto Ava e Margot con la speranza di rivederli un giorno, se il destino vorrà, e inizio il viaggio di ritorno verso Islamabad. Tre giorni di viaggio, proprio come all’andata, ma questa volta non vengo fermato nemmeno una volta e nessuno mi assegna una scorta. Torno al Coyote Den e rivedo Sean, che purtroppo non può proseguire il viaggio perché non ha il visto cartaceo per l’India. Sta cercando di ottenerlo a Islamabad, ma è molto difficile. È un problema che hanno avuto molti viaggiatori. La soluzione più assurda, ma funzionante, è fare richiesta per un eVisa indiano (valido solo per l’ingresso in aereo), volare in India, poi attraversare il confine con mezzi pubblici tornando in Pakistan, recuperare la moto per poi passare nuovamente in India via terra. Per fortuna io ho ottenuto il visto cartaceo all’ambasciata indiana di Milano, quindi non avrò problemi. Prima di lasciare Islamabad, però, mi manca ancora una cosa da fare. In Pakistan, tutti i camion e autobus vengono decorati con colori vivaci, motivi floreali, simboli e versi religiosi. Questa arte è conosciuta come "Truck Art" ed è un’espressione di orgoglio personale per i camionisti. Quindi, come forma di orgoglio per la mia Transalp che mi ha portato così lontano, ho deciso di decorarla. Trovo un negozio specializzato e gli do carta bianca. Chiedo solo una scritta: Everiting Inshallah, che significa “qualsiasi cosa, con calma”. È stato il motto di tutto il viaggio con la scorta, e in generale è perfetto per chi viaggia via terra, lentamente. Ora che è tutto pronto, posso andare in India, il penultimo stato di questa magnifica avventura. Non vedo l’ora, anche se una parte di me vorrebbe tornare nel nord del Pakistan e restarci mesi, tra le montagne dell’Himalaya. Ma ahimè, non è possibile: mi restano solo 22 giorni prima della scadenza del mio visto indiano. Sicuramente però, un giorno, tornerò.












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