IL BLOG DI SMU
India: il paese dove tutto è possibile (anche trasportare pecore in moto)
Ho scoperto un’India incredibile e imprevedibile, dove tradizione e caos si mescolano e l’ingegno umano non ha limiti. Dai templi sacri alle strade affollate, e sì anche trasportare pecore in moto.


STEFANO
Data
Ottobre 2024
Lettura
5 min
Sono passati 140 giorni da quando ho lasciato l’Italia per raggiungere l’India, un posto così lontano che però ormai dista solo qualche ora da me. Questa mattina presto ho lasciato Islamabad e ho ripercorso tutta la strada a ritroso fino a tornare a Lahore. Ora mi trovo di nuovo al confine indo-pakistano, ma stavolta non per assistere alla cerimonia, bensì per attraversarlo. Tutto fila liscio e in sole quattro ore completo tutte le pratiche: sono finalmente in India! La prima tappa obbligatoria è Amritsar, città famosissima per il Tempio d’Oro, un santuario sikh. I fedeli sikh indossano un grande turbante che avvolge e copre i capelli, che non vengono mai tagliati per tutta la vita, così come la barba. È un segno di rispetto verso la creazione divina. Il Tempio di Amritsar è molto bello. È stata un’esperienza intensa e spirituale. Sono entrato scalzo, a differenza delle moschee dove era permesso tenere i calzini. Qui no. Mi è stata data una bandana arancione per coprirmi i capelli. Una volta dentro, vengo avvolto dal profumo d’incenso e accecato dal riflesso del tempio dorato nelle acque del lago sacro. Tutti sono accolti, indipendentemente dalla religione. Alla sera offrono da mangiare gratuitamente e si può anche dormire lì, senza alcun problema. Mi restano solo 20 giorni prima che il visto indiano scada, e visto che qui per fare 200 km serve un giorno intero a causa del traffico, non posso fermarmi troppo a lungo se voglio vedere il più possibile. Lascio Amritsar e mi dirigo verso Delhi, una delle città più popolate al mondo. Guidare nel traffico non è stato facile: ho usato talmente tanto il clacson che ha smesso di funzionare. È una città caotica, rumorosa, dove il disordine sembra comandare. In India puoi trovare qualsiasi cosa per strada: scimmie, cani randagi, capre, cammelli, cinghiali, maiali, elefanti, mucche. Tutto convive nel caos. Le mucche sono ovunque, ma sono molto diverse dalle nostre. Qui sono spesso malnutrite, si vedono le ossa e mangiano spazzatura. Hanno un volto triste, molto diverso da quello di una mucca che vive in una malga del Trentino. E non posso fare a meno di chiedermi come mai, nonostante siano animali sacri, conducano una vita simile. Ma non ho trovato risposta. Dopo Delhi, tappa ad Agra per visitare una delle sette meraviglie del mondo: il Taj Mahal. Un monumento imponente, costruito in onore della moglie defunta dell’imperatore Shan Jahan. Vederlo dal vivo è tutta un’altra cosa rispetto alle foto. Proseguo verso il Parco Nazionale di Ranthambore per vedere le tigri, ma è stato un flop: nemmeno una.
“
L’India non si racconta, si vive. È un viaggio dentro e fuori di sé, dove il caos diventa poesia e l’impossibile realtà.
”
Il parco però è molto bello. Poi mi sposto verso i templi di Khajuraho, noti anche come i templi del Kamasutra. È l’unico posto al mondo dove sono riuscito a capire l’arte... quando le statue fanno esattamente quello che pensi, beh, non servono spiegazioni! A Khajuraho conosco un gruppo di italiani che hanno spedito le loro auto dall’Italia all’India. Tra loro c’è anche Fabio, che ha noleggiato una bellissima Royal Enfield Himalaya. Insieme raggiungiamo Varanasi, una delle città più spirituali del paese, famosa per la cerimonia della cremazione. Sulle rive del Gange, a pochi passi dai templi, ci sono i ghat dove avviene la cremazione. Ho visto i corpi bruciare. Senza muri, senza filtri, senza paura. Qui la morte non è nascosta: è parte del paesaggio, della spiritualità, della normalità. I familiari accendono i falò, i sacerdoti recitano preghiere, e la legna arde lentamente mentre il fiume scorre accanto, indifferente ed eterno. È un’esperienza molto intensa, probabilmente non per tutti. È stato come partecipare a molti funerali contemporaneamente. Ho trascorso quattro giorni a Varanasi, e forse ne meritava di più, ma il tempo stringe: mi restano cinque giorni prima di uscire dal paese. Prima di attraversare il confine con il Nepal, faccio un’ultima tappa a Patna, dove vive un’amica indiana. Mi fa visitare la città e mi invita a casa sua per un pranzo tipico. Ero un po’ preoccupato per il livello di piccantezza, ma fortunatamente era tutto ben dosato appositamente per un europeo. Da qui mancano solo 350 km al confine con il Nepal, la mia destinazione finale. In India puoi davvero vedere fin dove può arrivare l’ingegno umano. Per esempio, per avere sempre del ghiaccio a disposizione, legano una corda a un blocco enorme e lo trascinano sull’asfalto rovente fino alla destinazione… dove, con quel poco che è sopravvissuto, ci fanno le bibite “fredde”. O se non altro, con un sapore decisamente autentico. Ho visto persone trasportare qualunque cosa sulle loro moto. Una volta ho assistito a una scena surreale: due uomini e cinque pecore su una sola moto. In equilibrio perfetto, come se fosse la cosa più normale del mondo. Si dice che l’India o la si ami o la si odi. Io, sinceramente, non ho ancora capito da che parte sto. Ma una cosa la so: un giorno ci tornerò. Perché questo paese è immenso, imprevedibile, caotico, spirituale… e ho ancora così tanto da scoprire.










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