IL BLOG DI SMU
Viaggiare con la scorta in Pakistan: un'avventura tra polvere e Kalashnikov
Attraversando il Pakistan più autentico, da Taftan a Lahore, sempre sotto scorta armata. Tra deserti, tempeste di sabbia, checkpoint e notti in stazioni di polizia, ho vissuto un’esperienza dura ma indimenticabile. Un mix di fatica e adrenalina


STEFANO
Data
Settembre 2024
Lettura
5 min
Oggi è il grande giorno: finalmente in sella alla mia moto, pronto a percorrere i miei primi chilometri in Pakistan. La sveglia suona presto: ci aspetta un lungo viaggio verso Quetta. Sono circa 650 km, che in condizioni normali non sarebbero un problema, ma da quanto raccontano altri viaggiatori, il tragitto sarà tutt’altro che semplice. Sono carico, emozionato… ma anche un po’ ansioso. Libero la stanza che mi ha ospitato per sei giorni, carico la moto e, con la scorta militare davanti, parto insieme a Jörg e Birgit e al loro fidato camion. Non abbiamo fatto in tempo a lasciare la stazione militare che veniamo investiti da una tempesta di sabbia. Improvvisa, potente. La visibilità si azzera, le raffiche mi spingono così forte da costringermi a inclinarmi completamente dalla parte opposta, come se stessi affrontando una curva, solo per restare in linea retta. La strada è coperta di sabbia, e con la mia moto – tutt’altro che leggera – non è facile rimanere in piedi. Nel mezzo della tempesta vivo una scena che credo non dimenticherò mai: sono lì, nel cuore del deserto, in sella alla mia Transalp, travolto dalla sabbia. Davanti a me, una camionetta militare dei Levies: visi coperti, AK-47 imbracciati. Nel casco risuona TRIALS degli Starset. Due cammelli attraversano lentamente la strada. Sembra un film, ma è tutto vero. Quando finalmente la tempesta si placa, ci fermiamo per riprenderci. Jörg mi viene incontro e ci abbracciamo: ce l’abbiamo fatta. I militari controllano i passaporti e ci affidano a una nuova scorta. Ripartiamo subito. Durante la giornata perdiamo il conto dei cambi di scorta. Dopo 13 ore siamo ancora lontani da Quetta. È buio e guidare di notte, su queste strade, è davvero pericoloso: sorpassi folli, visibilità minima, e i bordi della strada sono un’incognita costante. Jörg propone di mettersi davanti con il camion per proteggerci dai sorpassi azzardati. Dopo 16 ore estenuanti, arriviamo finalmente a Quetta: una città caotica, presidiata da militari e circondata da povertà. Mi separo da Jörg e Birgit, che col camion non riescono ad arrivare all’hotel. La struttura dove mi portano rispecchia perfettamente l’atmosfera della città: sporca. Rimpiango la stazione di polizia di Taftan. Sono distrutto, poche volte nella mia vita mi sono sentito così stanco. La mattina seguente, due Levies mi vengono a prendere in moto. Saliamo in tre: uno guida, con un mitragliatore sulla schiena; io sono nel mezzo; dietro, un altro militare armato. Una scena surreale. Eppure, mai mi sono sentito così al sicuro… anche se nessuno di noi indossava il casco. Ci portano alla stazione di polizia dove ritrovo Jörg e Birgit. Compiliamo documenti, passiamo da un ufficio all’altro, ritiriamo soldi, attiviamo la SIM pakistana. Finalmente ci consegnano il famoso NOC (No Objection Certificate), il documento che dovremo mostrare ad ogni cambio scorta e che, almeno in teoria, serve a garantirci protezione.
“
Viaggiare con la scorta in Pakistan è come fare un safari... solo che invece di leoni, ti ritrovi con fucili AK-47 e un'infinita fila di camion bloccati. Ma hey, almeno non c'è mai un momento noioso!
”
Alle 12:00 ci chiedono se vogliamo passare un’altra notte a Quetta o proseguire. Dopo una rapida consultazione decidiamo di andare a Sibi, “solo 100 km, al massimo tre ore”. Mai errore fu più grande. Tra foto infinite con i militari, un camion incastrato sotto un ponte, un altro ribaltato (con conseguenze tragiche per l’autista) e code interminabili, ci mettiamo 8 ore per arrivare. Ancora una volta, stremati. A Sibi chiediamo ai militari se possiamo pernottare in hotel. Risposta negativa: troppo pericoloso. Ci portano alla stazione di polizia, dove passeremo la notte. Mi assegnano un ufficio con aria condizionata – un lusso impensabile con quel caldo afoso. Birgit è persino gelosa: lei e Jörg dovranno dormire nel camion, attrezzato ma senza aria condizionata. Peccato che il condizionatore funzioni solo tramite un inverter che emette un bip assordante ogni cinque secondi. Un incubo. Continuo ad alzarmi per spegnerlo, poi lo riaccendo, poi ancora… Accanto a me dormono due militari che russano. Non dormo quasi nulla. Il giorno dopo ripartiamo verso Sukkur. Durante uno degli ultimi cambi scorta, i militari si perdono. Per qualche ora, un piccolo assaggio di libertà. Troviamo un hotel bellissimo. Dopo cinque notti a Taftan, una in un hotel fatiscente a Quetta e una in stazione a Sibi, finalmente una doccia vera, un letto pulito e aria condizionata senza bip. Un sogno. Scendiamo in portineria e scopriamo che non possiamo uscire: la città è considerata troppo pericolosa. Ordiniamo cibo da asporto e ci godiamo questo raro momento di lusso. Il giorno successivo la scorta è già lì ad aspettarci. Destinazione: Multan. Ma il ritmo è troppo lento: io non posso usare l’autostrada con la moto, e Birgit non si sente bene. Ci fermiamo a Bahawalpur. Anche qui, giornata complicata: litighiamo con la scorta, che continua a confonderci sul luogo in cui dovremmo passare la notte. Alla fine, un’altra stazione di polizia… ma questa volta sembra quasi un hotel. Pulita, tranquilla (per gli standard pakistani). Infine, il giorno seguente partiamo per Lahore. E, per una volta, tutto fila liscio. Scorte rapide, viaggio sereno. A Lahore mi separo da Jörg e Birgit, che si sistemano in hotel, mentre io raggiungo l’ostello dove mi aspettano Michele e Mirta: amici che non vedevo dalla Turchia. Viaggiare in Pakistan con la scorta è un’esperienza estenuante. Ma nonostante le difficoltà, devo ammettere che i Levies hanno sempre cercato di fare il massimo con i mezzi a loro disposizione. Sempre gentili, rispettosi, presenti. Anche quando la frustrazione ci faceva perdere la pazienza, loro restavano calmi. E alla fine, anche questo come tutto fa parte del viaggio.








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